Popolo eletto e popolo di Dio
Moltissime parole e locuzioni hanno mutato significato nel corso dei secoli oppure sono state usate da autori diversi con sensi diversi. Ciò è naturale e inevitabile. Per scoprire che cosa significhino in una data pagina bisogna studiare il contesto e l'uso di quella lingua e di quel secolo.
Che cosa significhino nell'Antico testamento le due locuzioni " Popolo eletto e popolo di Dio " risulta chiaramente da Deut. IV, 37; VII,6; Giudici XX, 2; Salmo XXXIII, 1 2; Isaia XLIII, 20; XLIV, 1. Meglio sarebbe chiamare " Popolo di Dio" tutto il genere umano. Le parole "eletto " ed "elezione" nell'Antico Testamento alludono al fatto che Dio scelse Israele per trarlo fuori dall'Egitto, per rivelargli la Torà, per concludere con lui l'alleanza e per erigere in Gerusalemme il Tempio. Naturalmente altri popoli, altre persone,altri luoghi furono eletti per altri privilegi. Dante dice che Enea "fu dell'alma Roma e di suo impero nell'empireo ciel per padre eletto" (Inferno II) e che Roma fu ordinata per divino provvedimento a essere sede dell'impero ( Convivio IV). Si potrebbe dire anche che Filadelfia fu eletta per la "Dichiarazione dell'indipendenza", Parigi per la proclamazione dei "Diritti dell'uomo", Kapilavastu per la nascita di Buddha. La parola "eletto" non ha niente che vedere con la predestinazione di Calvino, né con la salvezza dei defunti, né col così detto messianismo.
Solo una persona ignorante può accusare Israele di voler riserbare a sé la "salvezza". Oggi la parola "salvezza" (o "salvazione" o "salute") è spesso usata dai Cristiani nel senso d'ingresso nel Paradiso, ma i vocaboli ebraici ieshà, moshaot, totsaot e teshuah ( tradotti "salvezza") veramente significano " liberazione" da un nemico o da un pericolo, "soccorso", "vittoria". Perciò la "salvezza" nel senso biblico è spesso concessa non solo agli Ebrei, ai Cristiani e ai Pagani, ma anche agli animali, tutte le volte che scampano da un pericolo. La credenza nella sopravvivenza dell'anima separata dal corpo è del tutto estranea all'Antico Testamento. Fra gli Ebrei compare per la prima volta nella "Sapienza di Salomone" (40 dell'Era Cristiana) e nel "Testamento di Abramo" (stesso periodo). La credenza nella resurrezione di tutti i corpi compare per la prima volta nel " Libro di Daniele" ( 164 a. C.).
La dottrina che tutti i popoli partecipano alla grazia di Dio è enunziata fin da "Amos"IX,7 ed è accettata dalla maggioranza dei rabbini. R. Johanan Ben Zakkai disse: Come il sacrificio espiatorio fa espiazione per Israele, così la vita retta fa espiazione per i popoli del mondo ( Cohen, Everymann's Talmud, New York, 1949). Il Giudaismo è una religione veramente ecumenica. Molti Pagani si convertivano al Giudaismo. Basti ricordare la storia di Ruth. L'autore d'Isaia LXIII,16 si confessava figlio di Dio, ma non d'Abramo né d'Israele ( cioè non era di stirpe israelita). A lui si può attribuire anche Isaia LVI 3-8. Nei Salmi CXV 12-13 e CXVIII 2-4 i fedeli sono divisi in tre classi: israeliti, sacerdoti e proseliti, nel Salmo CXXXV 19-20 in quattro, essendoci anche i Leviti. Questi versetti dimostrano che i proseliti erano numerosi. Essi sono menzionati più volte negli Atti degli Apostoli ( II,10; VI,5; X,2,22, 35; XIII, 16, 26, 43) e in Flavio Giuseppe (Antich. XIV; VII,2). Gli Edomiti, i Moabiti e altri vicini dei Giudei furono convertiti al Giudaismo da Giovanni Ircano. Da questi convertiti al Giudaismo discese la famiglia degli Erodi. Altri illustri proseliti furono Izate, re dell'Adiabene, Azizo, re d'Emesa e Flavio Clemente, cugino dell'imperatore Domiziano (Flavio G., Antichità XX, II-IV, VI 1, Dione Cassio LXVII,14). Rabbi Akiba era un proselita e convertì molti pagani.
Secondo i Vangeli Gesù avrebbe diffidato dei Gentili ( Matteo X, 5) e disapprovato il proselitismo (Matteo XXIII, 15), ma dopo la Crocifissione i Cristiani stessi vi si dedicarono. Dopo la guerra sanguinosa del 132-135, Adriano tentò d'estirpare la religione giudaica e proibì la circoncisione. Tuttavia il proselitismo continuò e fu allora che Rabbi Meir, discepolo d'Akiba, disse che il Pagano che si converte al Giudaismo e quindi rischia il martirio è pari al Sommo Sacerdote.
Rabbi Simeon ben Lakish disse che il proselita è più caro a Dio che l'Israelita di nascita. Antonino Pio revocò gli editti che vietavano l'osservanza del Giudaismo, ma vietò tuttavia il proselitismo. Anche nei paesi cristiani il proselitismo fu vietato. Continuò in Arabia, in Abissinia, tra i Khazari,ecc. Non è dunque colpa degli Ebrei se il proselitismo fu scarso in Europa. Ma non è affatto necessario farsi ebrei per essere accetti a Dio. Anzi i non Ebrei hanno meno obblighi. Non essendosi impegnati a osservare la Torà, basta che osservino i sette precetti "noachici": astenersi dall'idolatria, non bestemmiare il nome di Dio, avere tribunali, non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non mangiare carne strappata ad animali vivi (Jewish Encyclopedia VII, 648). Dice Maimonide che chiunque accetti questi sette precetti è annoverato fra i gentili pii ed è ammesso alla vita eterna (Melachim VIII; Benamozegh, Israel et l'humanité, Parigi 1914, p.620). I rabbini distinguevano il proselita di giustizia (gher tzedek), che s'impegnava ad osservare tutta la legge (Numeri XV, 16, 29), dal proselita della porta ( gher shà'ar o gher toshab, straniero residente) che aderisce solo ai principi fondamentali dell'ebraismo. Secondo R. Meir per diventare toshab bastava rinunziare all'idolatria in presenza di tre testimoni ( Aboda Zara 646; Benamozegh pp. 499, 596,618). Il gheer tzedek celebrava la Pasqua, ma il toshab ne era escluso (p. 64). Un rabbino sentenziò: " Il Santo, che sia benedetto, non esiliò Israele fra le Nazioni se non perché potesse guadagnarsi proseliti (ibid)". Naturalmente anche molti pagani idolatri abitavano in Palestina. La città di Samaria era abitata da Macedoni pagani, mentre i villaggi circostanti erano abitati dai Samaritani, setta israelita. A Cesarea stava il Prefetto romano con le sue truppe e si recava a Gerusalemme in varie occasioni. A Tiberiade abitavano Galilei, stranieri e liberti. La Torà ( Levitico XIX, 33-34; Deut. XXIV, 14, 17) concede agli stranieri parità di diritti con gl'Israeliti. Tale parità fu concessa dai Cristiani ai non Cristiani solamente dopo la Rivoluzione francese. R. Joshua disse che i giusti fra i Gentili saranno ammessi nel mondo futuro (Tosifta Sanhedrin XIII, 2; Cohen, op. cit. p. 369). R. Nissim disse che chiunque abiura l'idolatria è un vero israelita ( Aboda Zara 357 a, Benamozegh, pp. 496).
Ci rallegriamo che il Concilio abbia aderito alla opinione "ecumenica" dei Talmudisti e di Maimonide e abbia ripudiato l'opinione di quei Cristiani troppo settari ( come Agostino, Dante, ecc.) i quali pretendevano che i non cristiani ( eccetto i personaggi dell'Antico Testamento) fossero dannati.
Marco Treves
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