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ANALISI DEL PATERNOSTRO

ANALISI DEL PATERNOSTRO
MARCO TREVES*


In questa sala eminenti dotti cristiani hanno commentato i Salmi o altri scritti di ebrei. Sia lecito dunque a un ebreo commentare un brano del Nuovo Testamento. C'è un'altra ragione più specifica. Gesù fu ebreo, nacque da una famiglia di ebrei, fu circonciso, visse sempre da buon ebreo, osservava il Sabato, mangiava cascer, solennizzava le teste (sebbene i Vangeli parlino della sola Pasqua), recitava lo Scema lsrael (Marco XII, 29). La sua vita terrena appartiene alla storia degli ebrei, ma dopo la morte egli diventò l'oggetto delle speculazioni teologiche dei cristiani di varie chiese: cattolici, marcioniti, gnostici, ariani, nestoriani, monofisiti, e poi luterani e calvinisti, seguaci di Bultmann e di Bonhoeffer, ecc.. Di tutta questa vita postuma stasera noi non ci occuperemo affatto. Lasciamo stare la teologia. Io vi parlerò come storico, e non come teologo. Ho rispetto e simpatia per quei teologi i quali con le loro interpretazioni omiletiche dei testi sacri talvolta fanno acute osservazioni sulla vita d'oggi e porgono consigli eccellenti. Ma stasera mi occuperà esclusivamente di ricercare il significato originario del Paternostro, secondo la lingua, le situazioni e la mentalità di quei tempi. Lo storico scrupoloso non deve lasciarsi sedurre dalle preoccupazioni apologetiche dei teologi, né dalla tentazione di deformare i fatti a scopo di edificazione.
Ho imparato da prima gli episodi della vita di Gesù dalle bellissime pitture dei nostri Musei: le pitture del Beato Angelico, di Gentile da Fabriano, del Perugino, di Raffaello, ecc. - incantevoli, poetiche, idilliache, con verdi giardini, colline come quelle di Firenze, con figure eleganti e sorridenti, con quell'atmosfera di pace. Quando mi diedi a studiare i documenti dell'epoca mi accorsi che la realtà storica era diversa: il paesaggio brullo e stepposo, lacrime e sangue. Uno sfondo tragico paragonabile forse all'Algeria di qualche anno fa. Da una parte un popolo oppresso, i Giudei che sognavano l'indipendenza. Insurrezioni e rivolte frequenti. Dall'altra i Romani, gli sfruttatori, che non esitavano a crocifiggere a migliaia per volta gli uomini validi e a vendere le donne e i bambini ai mercanti di schiavi. Qualche volta crocifiggevano anche le donne e i bambini, come fece il buon Tito "delizia del genere umano". C'erano insurrezioni di partigiani - i Romani li chiamavano banditi - e alcuni erano forse masnadieri, altri erano forse santi martiri. Oggi non ne conosciamo neppure i nomi. C'erano quelli che predicavano la sottomissione - alcuni per interesse, i ricchi che non amano le rivoluzioni, i pubblicani appaltatori d'imposte che s’impegnavano a fornire una somma fissa al fisco romano e s'industriavano di estorcere quanto più potevano dalle sventurate popolazioni - ma altri in buona fede, sapendo che lo stato romano era invincibile e che ogni resistenza avrebbe provocato maggiori sventure. C'erano anche i mistici che s'illudevano che Dio avrebbe liberato con un miracolo il popolo fedele.
In quest'atmosfera di oppressione e di sangue viveva Gesù. Questo é lo sfondo del Vangelo. Le varie tendenze alle quali ho accennato si riflettono negli scritti dei vari redattori del Nuovo Testamento.

Veniamo dunque al Paternostro. Di questa bellissima preghiera abbiamo quattro versioni: quella di Matteo VI 9-13, quella di Luca XI 2-4, quella della Didaché e quella di Marcione. Ma quella di Marcione è alterata per conformarla alla sua teologia. Quella della Didachè è quasi uguale a quella di Matteo. Tra le due rimanenti, la versione di Matteo mi sembra più primitiva che la versione di Luca, contrariamente a quanto pensano molti critici tedeschi. Ne daremo più avanti qualche prova.
Il Paternostro è tutto composto di formule ebraiche. E' esente da ogni accenno ai dogmi e alle formule caratteristiche del cristianesimo. Questo mi pare un buon indizio della sua autenticità. Leggendo i commenti dei Padri della Chiesa cristiana e dei moderni teologi cattolici e protestanti si nota come spesso sono sconcertati da un linguaggio che non è il loro e che non capiscono.

????? (padre). E' antica e costante usanza ebraica di considerare Iddio come nostro Padre e gli Israeliti come Suoi figli. Ve n'è una ventina d'esempi nell'Antico Testamento: Esodo IV, 22; Deuteronomio XIV, 1; XXXII,6, 18, 19, 20; Salmo LXXIII, 15; Isaia I, 2; XXX, 1; LXIII, 16; LXIV, 7; Geremia III, 4,19; IV, 22; XXXI, 9, 20; Osea I,10; Ezechiele XVI, 20, 21: Malachia I, 6; 11,10.
Citiamo il versetto del Deut. XIV, 1: "Voi siete i figli del Signore Iddio vostro", e quello di Geremia III, 19 "Mi chiamerete:Padre mio".
Vi sono altri esempi nei libri ebraici non canonici: Ben Sira XXIII 1, 4; LI, 10; Sapienza Il, 16; XIV, 3; Tobia XIII, 4; III Maccabei V, 7; VI, 8; Giubilei I, 24, 25, 28; Testamento di Giuda XXIV, 2; Testamento di Levi XVIII, 6; Hodayot IX, 35-36; Nei detti dei Tannaim, Akiba (Abot III, 18; Yoma 85; Taanit 25 ) e Jehuda ben Tema (Abot V, 23 ).
Vediamo che Gesù ben Sira e Gesù Nazareno, invocando Dio come Padre, si conformarono all’esortazione di Geremia. E Dio è invocato come padre nelle preghiere quotidiane: nell'Amidà (benedizioni V e VI) nell'Ahabah, nel Col berue e in molte altre. Nella preghiera mattuttina è invocato più volte proprio con le parole Abinu shebashamaim "Padre nostro che sei nei cieli".

???? "di noi". Chi sono questi "noi"? Nei passi della Bibbia citati di sopra, Dio è chiamato Padre degl'lsraeliti. Veramente, secondo la dottrina ebraica, Iddio si potrebbe chiamare Padre universale per due ragioni: I) perché è il Creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che v'è (Genesi I-II, Esodo XX, 11; XXXI, 17; II Re XIX, 15; Nehemia IX,6: Salmi CII, 25; CXV, 15; CXXI, 2; CXXIV, 8; CXXXIV, 3; CXLVIII, 6; Isaia XLII, 5; XLV, 18; Geremia XXXII, ); II) perché veglia amorosamente non solo sugli ebrei, ma su tutti i popoli, sugli egiziani e sugli assiri (Isaia XIX, 25), sugli etiopi, sui filistei e sugli aramei (Amos IX, 7) e anche sugli animali (Giobbe, XXXVIII, 39-41; Salmo CXLVII, 9) e ama tutte le sue creature (Salmo CXLV, 9, 16; Sapienza di Salomone XI, 24-26). Ma sebbene Iddio si possa considerare come il Padre di tutti gli uomini e di tutte le creature, esplicitamente non è chiamato se non padre degli Israeliti.
Veniamo ai Greci. Per Omero Zeus è padre di uomini e di dei (Iliade V, 426). Certo è padre in senso fisico, ché dai suoi molteplici amori con dee, con ninfe e con donne mortali, Zeus ebbe numerosa prole. La formula di Omero è ripetuta da altri poeti. Ma Platone (Timeo) più filosoficamente chiama Dio "Fattore e Padre dell'universo". Filone, il filosofo ebreo un poco più anziano di Gesù, adotta la formula di Platone (De opificio mundi 13, Legatio ad Gaium XVI, 119). Dunque Filone, prima di Gesù, rende esplicita la dottrina che nella Bibbia era implicita.
Pare probabile che Gesù usasse la parola "padre" nel senso nazionale dell'Antico Testamento. Il Vangelo di Matteo non dice neppure ??????? "nostro", ma dice proprio ???? "di noi" "di noialtri", dunque "padre di noialtri ebrei".
L'autore del Terzo Vangelo e degli Atti, letterato elegante, spirito irenico, novellatore piacevole, ma non sempre storico scrupoloso, come negli Atti cerca di conciliare Pietro con Paolo, nascondendo le dispute che conosciamo dalle epistole, così nel suo Vangelo cerca di conciliarsi i Gentili, tanto più che era un Gentile egli stesso. Perciò cancella l'????? e scrive il semplice ?????. Dio non è più padre dei soli Israeliti, è padre di tutti gli uomini. Il pensiero di Luca è chiarito dalla genealogia. Mentre Matteo I, 1-16 risale fino ad Abramo per dimostrare che è un vero Israelita; Luca III, 23-38 risale fino ad Adamo, per dimostrare che Gesù, in quanto figlio d'Adamo, è figlio di Dio.
Neanche Luca, però, assurge all'universalismo di Platone e di Filone.
Il Quarto Evangelista, furioso antisemita che probabilmente subì l'influenza degli gnostici o di Marcione, spesso tenta di confutare i Sinottici. Per lui gli Ebrei non sono i figli di Dio nè d'Abramo. Sono i figli del Diavolo (Giovanni VIII, 39-44). Gesù non ha più genealogia. E' l'unigenito figlio di Dio (Giovanni I, 14, 18; III, 16-18). E il Paternostro è omesso da questo Vangelo.
Alcuni commentatori (O. Luzzi, J. Jeremias) pensano che nel Giudaismo Dio fosse Padre del popolo, ma non dei singoli individui. Ma non è così. Un profeta che non apparteneva al popolo ebraico per nascita, poiché era un proselita, scriveva: "Tu sei il Padre nostro, benché Abramo ci ignori e Israele non ci riconosca. Tu, o Eterno, sei il Padre nostro" (Isala LXIII, 16). Geremia e Ben Sira adoperano l'espressione "Padre mio" col pronome di prima persona singolare. E il Salmo LXVIII, 5 dice che Dio è il Padre degli orfani.

?????????????????? "che sei nei cieli". Nel greco ordinario ??????? "cielo" è singolare. In ebraico shamaim e in aramaico shemaya sono plurali. Si tratta di una peculiarità linguisttca senza riferimento a dottrine astronomiche. La sua presenza nel nostro testo greco dimostra che questo è tradotto da un originale semitico.
Secondo la dottrina ebraica, Iddio è in ogni luogo: "Egli riempie il cielo e la terra" (Geremia XXIII, 24).

Se io salgo in cielo, Tu vi sei,
se scendo nello Sheol, eccoti là!
Se prendo le ali dell'alba
e dimoro nell'estremità del mare,
anche colà mi condurrà la tua mano
e la tua destra mi sosterrà. (Salmo CXXXIX, 8-10)

E così anche Deut. IV, 39; Giosué II, 11; II Re VIII, 27; Isaia LXVI, 1. Ma in altri versetti biblici si dice che Dio sta nei cieli (Deut. XXXIII, 26;I Re VIII, 30, 32, 49; Giobbe XXII, 12; Salmi II, 4; CIII, 19; CXIII, 5; CXV, 2-3, 16; CXXIII, 1; Eccles. V, 2; Daniele Il, 28).
Abbiamo già osservato che la frase "Padre nostro che sei nei cieli" è usata dai dottori della Mishnà e più volte nelle preghiere ebraiche.

???????????????????????"sia santificato il tuo nome". Il verbo ?????? non esiste nel greco classico né nei papiri pagani. Fu inventato dai Settanta per tradurre l'ebraico qadash. Questa è una novella prova che ci troviamo di fronte a una traduzione, da spiegare con la fraseologia ebraica, incomprensibile a chi è stato educato in ambiente diverso. Intatti anche nel nostro Kaddish si dice "Itgaddal weitqaddash shemey rabba" sia magnificato e santificato il suo gran nome". E nella preghiera mattutina del Sabato: Shimchà Adonai Elohenu itqaddash "il tuo nome, o Eterno Dio nostro, sia santificato".
Che significa "santificare il nome"? Per il Pichenot significherebbe astenersi dalla bestemmia, dai giuramenti falsi, ecc.. Ma così si restringerebbe troppo la portata della frase. Più giusto mi pare Sant'Agostino: "Quando diciamo: Sia santificato il tuo nome, facciamo sapere che desideriamo che il suo nome, il quale è sempre santo, sia considerato santo anche fra gli uomini, cioè non sia spregiato".
Nel linguaggio biblico qadash "santificare" è il contrario di halal "profanare". Dunque santiticare il nome significa preservarlo dalle profanazioni. Il santo nome è profanato quando gli Ebrei commettono atti d'idolatria o altri gravi peccati (Levitico XVIII, 21; XIX, 12; XX, 3; XXI, 6; XXII, 32; Ezechiele XLIII, 7, 8; Amos Il, 7) e quando il popoio il popolo ebraico è esiliato e la sua religione è insultata (lsaia LII, 5; Ezechiele XXXVI, 20-24; XXXIX, 7, 25; Malachia 11-12; Salmo CXI, 9).
Si può congetturare che Gesù pensasse a un fatto recente. Ponzio Pilato aveva offeso i sentimenti dei pii ebrei introducendo le insegne delle legioni nella Città Santa (Flavio Giuseppe, Antichità XVIII, iii, 1; Guerra II, ix, 3); Le insegne erano gli dèi delle legioni e i soldati offrivano loro sacrifizi (Flavio G., Guerra VI, vi, 1; Svetonio, Caligola XIV, Tacito, Annali I, 39; Tertulliano, Apologetico XVI, 162). Perciò la presenza delle insegne nella Città Santa era una profanazione del nome. I giudei supplicarono Pilato di farle togliere di lì, ma questi fece circondare i supplici dai soldati, minacciandoli di morte immediata. Allora essi si gettarono in terra, scoprendo il collo, pronti a lasciarsi tagliare la testa piuttosto che consentire all'atto profano. E Pilato allontanò le insegne.
Nell'uso ebraico più tardo la "santificazione del nome" era il martirio sofferto per restare fedeli alla Torà. Il Sifra (Emor XIII) dice: "lo vi ho tratti fuori dall'Egitto a patto che siate pronti a sacrificare la vita, qualora lo esiga l'onore del mio nome".

????????????????????? "venga il tuo regno". Questa frase allude al nucleo centrale della predicazione di Gesù. "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino" (Marco I, 15). E' questo I'euangelion, la buona novella.
La parola italiana regno (come l'ebraico malkut, il greco basileia, il latino regnum) può significare tanto un territorio governato da un re come il periodo durante il quale egli regna. Invece l'inglese e il francese distinguono Kingdom, royaume (il territorio) e reign, règne (il periodo). Ma i traduttori inglesi e francesi della Bibbia dimostrano incoerenza e confusione nel rendere questa parola.
Il "regno di Dio" nella Bibbia è sempre un periodo, mai un territorio. Gesù e altri Giudei del suo tempo aspettavano che Dio cominciasse a regnare, non già che continenti ed isole mutassero posto.
Il primo regno di Dio era stato al tempo dei Giudici. Gedeone rifiutò l'invito a farsi re, per non togliere il regno a Dio (Giudici VIII, 22-23). Quando gli anziani volevano ungere re Saul, Iddio li rimproverò, per mezzo del profeta Samuele, perché l'avvento di un re mortale avrebbe segnato il ripudio del Sovrano celeste (I Samuele VIII, 4-7; X,18-19; XII, 12).
Da questi passi si ricava: 1) che nell'opinione dei sacri autori la monarchia umana e la monarchia divina erano incompatibili; 2) che era tradizione che Iddio fosse il re d'Israele al tempo dei Giudici; 3) che il regno di Dio cessò con l'incoronazione di Saul.
Dopo Saul ci furono i re della dinastia davidica. Poi la Giudea fu soggetta ai re Babilonesi, ai re Persiani, ad Alessandro Magno, ai Lagidi, ai Seleucidi. Finalmente nel 167 i Giudei si ribellarono ai re stranieri. Ma non richiamarono al trono la famiglia davidica. Invece instaurarono il secondo regno di Dio. A questo periodo assegno i Salmi che proclamano Adonai malakh "l'Eterno ha cominciato a regnare" (Salmi XLVII, XCIII, XCVI, XCVII, IC). Il secondo regno di Dio durò un paio d'anni (dal 164 al 162). Seguì un ventennio sotto i re greci (162- 140). Poi un terzo regno di Dio dal 140 al 104. Poi i re Asmonei, il dominio romano, Erode, Archelao. Nel 7 dell'Era Volgare i Romani ridussero la Giudea a provincia, imposero tasse e mandarono Quirino a fare il censimento dei patrimonii. Agli Ebrei parve di esser ridotti in schiavitù. Tuttavia il Sommo Sacerdote Joazar li persuase a rassegnarsi e a dichiarare i loro patrimonii, a inchinarsi ai voleri di Cesare. Ma qualcuno non si rassegnò e insorse. Giuda gaulonite, della città di Gamala, detto anche Giuda di Galilea istigò il popolo alla ribellione. Diceva che questa tassa non era altro che imposizione di schiavitù ed esortò i Giudei a proclamarsi indipendenti e a non riconoscere altro padrone che Dio. Chiamare padrone un uomo, fosse pure Augusto, era tradire Iddio. I suoi seguaci, piuttosto che accettare Augusto come sovrano, subirono in gran numero la tortura e il martirio. E condussero una lunga e sanguinosa guerriglia di partigiani (Flavio G., Ant. XVIII, 1, 6; Guerra II viii, 1).
Ma accanto a coloro che volevano instaurare il quarto regno di Dio con la violenza (Matteo XI viii, 1) c'erano altri che l'aspettavano con tranquilla fiducia, come Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava il regno di Dio (Marco XV, 43). Non mi pare probabile che un consigliere, forse membro del Sinedrio, partecipasse attivamente alla guerriglia.
Anche per Gesù il regno di Dio era nel futuro. Lo dimostrò Johannes Weiss, rivoluzionando la teologia tedesca. Ma del resto risulta evidente dai Vangeli (Marco IX,1 = Luca IX, 27; Marco XIV, 25 = Matteo XXVI, 29 = Luca XXII, 16-18; Matteo VIII, il; Matteo XXII, 41) e dallo stesso Paternostro.
Il Reimarus, il più antico e uno dei più intelligenti fra i critici del Nuovo Testamento, osserva che il succo della predicazione di Gesù è "Pentitevi, ché il regno di Dio è vicino". Poiché Gesù non spiega mai questa espressione, bisogna supporre che l'adoperasse nel significato usuale degli Ebrei del suo Tempo.
Possiamo noi sapere come si figuravano gli Ebrei di quelra generazione il regno di Dio?
Cent'anni dopo il Reimarus, cent'anni fa, uno studioso italiano, Monsignor Ceriani, scopriva nella Biblioteca Ambrosiana di Milano uno scritto (l'Ascensione di Mosé) il quale fu composto proprio al tempo di Gesù. Questo scritto contiene una descrizione del regno di Dio.
Eccola:

E allora comparirà il Suo regno per tutto il Creato.
E allora l’Accusatore avrà fine,
e la tribolazione sarà tolta via con lui.
E saranno empite le mani dell’Angelo
che è stabilito nel sommo dei Cieli,
il quale subito li vendicherà dei loro nemici.
Ché il Celeste sorgerà dal trono del Suo regno
e uscirà dalla Sua santa dimora
con indignazione e ira pei Suoi figlioli.
E la terra tremerà: sarà scossa fino ai suoi confini,
e le montagne saranno abbassate e squassate
e le valli saranno alzate.
E il sole non farà luce
e le corna della luna saranno oscurate e rotte,
e tutta la luna si muterà in sangue,
e l'orbita delle stelle sarà sconvolta,
e il mare cadrà nell'abisso.
Le sorgenti dell’acque si seccheranno
e i fiumi inaridiranno.
Perché il Dio Altissimo, l'Eterno,
il Dio unico si leverà
e si manifesterà per punire le nazioni
e per distruggere i loro idoli.
Allora sarai felice tu, o Israele,
e salirai sul collo e sull'ali dell'aquila
e i giorni del tuo dolore termineranno.
E Dio ti esalterà,
e ti solleverà fino al Cielo delle stelle
al luogo della Sua dimora.
Allora tu guarderai dall'alto
e vedrai i tuoi avversarii sulla terra
e li riconoscerai e t'allegrerai,
e renderai grazie e riconoscenza al Creatore.

Dunque per questo antico poeta il regno di Dio consisteva nella liberazione d'Israele, accompagnata da terremoto, oscuramento del sole, sanguinare della luna, ecc.. Naturalmente non è detto che tutti i Giudei se lo figurassero nell'identico modo, ma è degno di nota che anche nel Nuovo Testamento non manchino accenni alla sperata liberazione di Israele (Marco X, 42-43 = Luca XXII, 25-26; Luca I, 74; Atti I, 6) e a fenomeni simili a quelli suddescritti (Marco XIII, 24-27 e paralleli; Atti II, 18-21; Apocalisse VI, 12-17)
Anche la frase 'Venga il tuo regno" ha analogie nelle preghiere ebraiche. Il Kaddish: Veiamlikh malkhuté "e regni il suo regno" (e seguita: durante la nostra vita, nei giorni nostri, durante la vita di tutta la famiglia d'israele.) E l'Amidà (benedizione Il): "Fa tornare i nostri Giudici come in antico e i nostri consiglieri come una volta e regna sopra di noi tosto, Tu solo con fedeltà, con misericordia, con rettitudine e con giustizia".
Nell' Antico Testamento il regno di Dio era limitato alla Palestina o esteso a tutta la terra? I versetti Giosuè III, 11; Salmo XCVII, 5 e Zaccaria XIV, 9 forse non sono chiarissimi, perché ha-arez potrebbe significare così "la terra" come "il paese". Ma nel Salmo XLVII, 8 ( Dio regna sulle nazioni), nel LXXXII, 8 (tutti i popoli), nel
XCVI, 13, nel XCVII, 1 (le grandi isole), nel XVIII, 9 (il mondo, i popoli), il regno è universale. Ed è universale nell'Assunzione di Mosé e nell'Alenu.

Marcione e probabilmente anche l'autore del terzo Vangelo, essendo fedeli sudditi dell'Impero romano, non potevano pregare per la venuta d'un regno diverso. Perciò alla frase sovversiva ne sostituirono una innocua: "Venga il tuo spirito santo su di noi e ci purifichi".

????????????????????????????????????????????????. "Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra". Chi fa la volontà di Dio in cielo? Gli angeli. Lo dice il Salmo CIII, 20-21:
Benedite il Signore, o suoi angeli,
obbedienti al suono della sua parola.
Benedite il Signore, tutti voi, o eserciti suoi,
suoi ministri che fate la sua volontà.
E in terra? I giusti. perché "i giusti conoscono la volontà" (Proverbi X, 32). Il Salmo XL, 8:
Insegnami a fare la tua volontà,
perché tu sei il mio Dio.
E il Salmo CXLIII, 10:
io mi compiaccio di fare la tua volontà, o mio Dio,
Sì la tua legge è nel mio cuore.

Anche alcune preghiere ebraiche contengono un parallelo fra il cielo e la terra. Il Kaddish: Colui che fa la pace nelle sue altezze, nella sua misericordia conceda la pace a noi e a tutto Israele. E Rabbi Eliezer (verso il 90 dell'E.V.) pregava: Fa' la tua volontà nell'alto dei cieli e dà pace sulla terra a coloro che ti temono (Berakot Tosefta 3, 7). E viene in mente il canto degli angeli "Gloria a Dio nelle altezze e pace in terra agli uomini dei quali Egli si compiaceva" (Luca II, 14).

?????????????????????????????????????????????. "Dacci oggi il nostro pane “?????????”. Questa parola è un "apax legomenon" ed è di incerta interpretazione. Menzionerò le principali congetture.
Alcuni traducono "dacci oggi il nostro pane quotidiano". Bellissima interpretazione, conforme alla preghiera nei Proverbi XXX, 8:
Non mi dare nè povertà nè ricchezza
Porgimi il pane che è la mia porzione.

Se non che ????????? non può significare "quotidiano". Quotidiano in greco si dice ??????????? o ????????? Ambedue queste parole s'incontrano nel N. T. (Atti VI,1 e Giacomo II, 15). Perché l'Evangelista, avendo a disposizione due ottime parole usuali, ne avrebbe inventata una terza incomprensibile?
Altri interpreti traducono "per domani". E derivano ????????? da ??????? "il giorno seguente". Abbiamo dunque un'etimologia possibile. E anch'io preferisco il pane un po raffermo. E la previdenza è raccomandata nella Bibbia (Proverbi VI, 6-8):
Va' alla formica, o pigro;
considera i suoi costumi e sii savio,
la quale .... si provvede di pane nell'estate,
e raccoglie il cibo nella stagione delle messi

Ma non sempre la previdenza fu lodata dagli Ebrei. Rabbi Eliezer (tempo di Domiziano) diceva: Chiunque ha pane nel paniere e domanda: Che cosa mangerò domani? è un uomo di poca fede (Sota 48). Pare che anche Gesù la pensasse come R.Eliezer: "Non pensate alla vita vostra, che mangerete e che berrete .... Non vi preoccupate dunque per il domani" (Matteo VI, 25-34) e additava ad esempio gli uccelli del cielo; anziché la formica, tanto ammirata dal poeta dei Proverbi e dal La Fontaine. Perciò è poco verosimile che Gesù consigliasse di chiedere il pane per il giorno dopo.
Altri interpreti derivano ????????? da ??? (sopra) e ????? (sostanza) e traducono "soprassostanzialet', cioè spirituale, metaforico. Anche quest'immagine del pane spirituale è ebraica. Isala LV, 1-2:
O voi tutti che avete sete, venite all'acqua.
E voi che non avete denaro, venite, comperate e mangiate.
Perché spendete denaro per cose che non sono pane?
E i vostri guadagni per cose che non saziano?

E nei Proverbi IX, 5 la Sapienza chiama:
Venite, mangiate del mio pane
E bevete del vino che vi ho mesciuto.
E Ben Sira XV, 1-3:
L'uomo che teme il Signore farà questo.
Colui che si attiene alla Torà l'otterrà.
Ella gli verrà incontro come una madre,
come una giovane sposa l'accoglierà.
Lo nutrirà col pane dell'intelligenza
e gli darà da bere l'acqua della dottrina.
In questi versi la Sapienza è probabilmente la Torà (cfr. Ben Sira XXIV, 22) e il cibo e le bevande sono i suoi frutti salutiferi. Mi par poco verosimile che Gesù pregasse per ricevere la Torà. Ma le difficoltà principali sono linguistiche. Esiste la parola "soprassostanziale" in aramaico? E supponendo che esistesse, sarebb'essa una definizione esatta della Torà, della Grazia o del soccorso divino chiesto dai primi discepoli? E sarebbe naturale questo termine filosofico in bocca a semplici pescatori di scarsa istruzione? Oltre a ciò, un composto di ????? sarebbe ???????? anziché ?????????. Il prefisso ??? elide sempre la finale in composizione con la parola che comincia per vocale, a meno che non sia impedito il digamma. Dunque nessuna delle supposte congetture pare accettabile. Non saprei più cosa proporre. Forse un'emendazione del testo. Leggendo ?????????? "per l'esistenza, per la vita" il senso corrererebbe bene. ????? nel senso di vita, esistenza è documentato in Platone, Sofista 232.
Si osservi ancora che la presenza di questa parola rarissima così nel testo di Matteo come in quello di Luca dimostra che ambedue derivano da un'unica fonte greca e non sono traduzioni indipendenti dall'aramaico.

?????????????????????????????????????????????????????????????????????????????"Rimettici i nostri debiti, come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori"
Qui c'è qualche divergenza fra i Vangeli. Matteo ha la parola "debiti", Luca la parola "peccati". La remissione dei debiti ogni sette anni era prescritta dal Deuteronomio XV, 1-11. Ma poiché questa disposizione, adatta per i prestiti caritatevoli dell'età più antica, produceva gravi inconvenienti nelle operazioni commerciali di un popolo più evoluto, Hillel l'aveva abolita pochi anni prima del tempo di Gesù. E' probabile che la predicazione di Gesù e dei primi Cristiani avesse anche un contenuto sociale, che essi odiassero i ricchi (Luca VI, 20-26; XVI, 19-31; XVIII, 22-25; Giacomo I, 9-11; II, 5-7; V, 1-6) e che praticassero la comunione dei beni (Atti II, 42-45; IV, 32-37). Ma non pare che rimettessero i debiti. Anzi pare che qualche volta fossero rapaci ed esosi nell'esigerli (Atti V, 1-6).
E poi, quali sono i debiti dell'uomo verso Dio? Non si può certo pregare Dio d'essere esentati dall'adempiere ai comandamenti né d'essere dispensati dai voti. Perciò par meglio intendere i peccati. E' stato osservato che la parola aramaica hobayya può valere "debito" e "peccato". Matteo ci dà la traduzione letterale, Luca interpreta e chiarifica per il lettore greco; (Si deve ricordare tuttavia che le due versioni del Paternostro derivano probabilmente da una fonte comune Q scritta in greco e non sono traduzioni indipendenti dall'aramaico). Vi sono altri passi dei Vangeli (Matteo XVIII, 23-35, Luca VII, 37-39) nei quali i debiti sono figura dei peccati.
Molti precetti dell'A. T. impongono di perdonare torti ricevuti (Genesi XLV, 4-15; L, 15-21; Esodo XXIII, 4-5; Levitico XIX, 17-18, 34; I Samuele XXV, 28-34; Giobbe XXXI, 29: Salmo XVIII, 24-25; Proverbi XX, 72; XXIV, 29; XXV, 21-22).
Molte preghiere chiedono a Dio di perdonare i peccati degli uomini (Esodo X, 17; XXXII, 32; XXXIV, 7-9; Numeri XIV, 19; I Re VIII, 30, 34, 50; Salmi XXV, 11, 18; XXXII, 5; LI, 2; LXXIX, 9; LXXXVI, 3-5; CXXX, Amos VII,2; Daniele IX, 19).
La connessione tra i due concetti s'incontra in Ben Sira XXVIII, 2:
Perdona il torto che ti ha fatto il vicino
E quando pregherai i peccati saranno perdonati.

Sifré sul Deuter. XIII, 18: "Ogni volta che avrai misericordia delle altre creature, dal cielo avranno misericordia di te".
Si può ricordare anche Luca VI, 36: "Siate misericordiosi, come ancora il Padre vostro è misericordioso."

?????????????????????????????????????, si suoi tradurre "non c'indurre in tentazione". Ma il Cristiano potrebbe domandare: E' Dio o il Diavolo colui che induce in tentazione? Infatti un antico Cristiano, il quale forse non aveva capito il Paternostro, protesta: "Che nessuno dica, quando è tentato: io sono tentato da Dio. Perché Dio non può essere tentato dal male, nè può Egli tentare alcun uomo. Ma l'uomo è tentato quando è sedotto dalle sue voglie. (Epistola di Giacomo I, 13-14). Ma altri osservano che "tentazione" è traduzione inesatta di ?????????. il Tommaseo traduce: "Non ci recare in cimento". E il Pernot: "Non ci esporre alla prova". Infatti non credo che Gesù alludesse alle tentazioni del bambino che trova la scatola delle caramelle e dell'adulto che trova a portata di mano il denaro della ditta o la moglie del collega. Si tratta di cosa ben più tragica. In tempi di oppressione, di guerriglia, di congiura, coloro che speravano che il regno di Dio sostituisse il dominio romano, erano sempre in pericolo d'essere arrestati, torturati e costretti a rivelare i progetti, a denunciare i camerati, ecc.. Perciò era naturale il timore d'essere esposti alla prova.
Citerei il detto attribuito a Gesù da Origene (In Jerem. hom. lat. XX, 3): "Chi è vicino a me è vicino al fuoco. Chi è lontano da me, è lontano dal regno."
Marcione, la Vetus Latina, S. Cipriano e S. Agostino emendano e traducono: "Non permettere che siamo indotti in tentazione". E il padre Tonna - Barthet: "non ci lasciar soccombere alla tentazione". Ma così si discostano dal testo.

???????????????????????????????. Gran discussione su questa parola ???????. E' maschile o neutro? E' il Maligno o il male? E' vero che il neutro degli aggettivi greci può avere valore di astratto, così che ambedue le traduzioni sono grammaticalmente possibili. Ma non tradurrei col nome astratto "mare", il quale in italiano fa pensare a disturbi e malattie. Certo i discepoli non chiedevano d'essere esentati dalle malattie, destino inesorabile dell'uomo. In Genesi Il, 9 il male è il peccato. Ma l’Ebreo non aspetta che Dio lo liberi dal peccato, il quale, secondo la dottrina ebraica, dipende dal libero arbitrio dell'uomo. Neanche tradurrei "il Maligno", cioè Satana. Satana ha poca importanza nella religione ebraica, che è”rigorosamente monoteista. Non conosco preghiere ebraiche che chiedano di esser liberati da Satana, né che chiamino Satana "il Maligno". Mi par meglio tradurre letteralmente: "Liberaci dal malvagio". Infatti la frase è una citazione abbreviata del Salmo CXL:
"Liberami, o Signore, dall'uomo malvagio, preservami dall'uomo violento".
S'intende che al tempo del Salmista, il malvagio era il soldato greco e il Giudeo apostata. Al tempo di Gesù il malvagio sarà stato il soldato romano e il Giudeo collaboratore.
A conferma di questa interpretazione si può citare Matteo V, 39: ??????????????????????? "Non resistere al malvagio". Anche qui si tratta dell'uomo malvagio, non di Satana, nè delle malattie.
Non v'è contraddizione fra Matteo V, 39 e VI, 13. La Palestina era piena di malvagi. Resister loro era follia. Pregare Iddio che liberasse il paese era ovvio.
Anche questo versetto è soppresso da Luca per non dispiacere ai Romani.

Ammirate il bell'ordine del Paternostro; prima l'onore a Dto, secondo il suo regno in terra, terzo i bisogni dell'orante: il pane, il perdono, la pace. Un simile ordine, presso a poco, si trova in alcune preghiere ebraiche.

Alcuni manoscritti del V secolo aggiungono una dossologia: "Perché tuo è il regno, la potenza e la gloria in eterno". Ma questa dossologia manca nei manoscritti del IV secolo e perciò i critici la ritengono apocrifa. Si legge tuttavia nella Didaché ed è in tutto conforme all'uso ebraico. Infatti è ispirata dalla preghiera di David in I Cronache XXIX, 11: "Tua, o Signore, è la grandezza; la forza e la gloria e la vittoria e la maestà .... Tuo è il regno, o Signore, e Tu sei inalzato come capo sopra a tutti".
Dalla medesima preghiera sarà stata ispirata la dossologia dell'Alenu "Il regno è tuo" e il verso del Cantico delle Creature di S.Francesco: "Tue so' le laude, la gloria e l'onore". Ed è uso ebraico aggiungere le 'olam va'ed dopo le lodi a Dio.
Molti critici (Wettstein; Bultmann, Fleg, ecc.) hanno osservato che il Paternostro è composto in gran parte di formule ebraiche. Dice E. F. Scott che chi mira a fare opera eterna deve riattaccarsi al passato. Ma senza negare il valore permanente delle petizioni, bisogna anche riconoscere che sono strettamente connesse con la situazione politica e con le speranze del tempo di Gesù. Pretendereste di capire la Divina Commedia senza conoscere la lingua, la situazione politica, le controversie del tempo di Dante?
Osserva il Bultmann (Jesus Christ and Mythology 1958, pp. 13-14) "La prima comunità cristiana attendeva il regno di Dio nel medesimo senso che l'aveva atteso Gesù. Anch'essa aspettava che il regno di Dio venisse nel futuro immediato. La Cristianità ha sempre conservato la speranza che il regno di Dio venga in un futuro immediato, sebbene abbia aspettato in vano. La speranza di Gesù e della prima comunità cristiana non si avverò. Esiste ancora lo stesso mondo e la Storia continua. Il corso della Storia ha smentito la mitologia".
Con sommo rincrescimento debbo confessare che il Bultmann non ha tutti i torti. Prima che quella generazione fosse discesa tutta nella fossa, venne, non già il Figlio dell’uomo sulle nuvole e gli angeli con le trombe (Matteo XXIV, 30-34; Marco XIII, 26-30; Luca XXI, 27-32), ma Tito, con le sue stragi e le sue distruzioni. Ma la Storia non finì allora e non è finita ancora. L'impero dei Cesari è caduto. Altri imperi sono sorti e scomparsi. La Palestina è per metà ebraica e indipendente. Questo almeno si è avverato.
Resta da imprimere i comandamenti della giustizia e della carità nei cuori degli uomini. Resta da lavorare per il regno di Dio inteso in modo più conforme alla nostra coscienza moderna. Per questo i Cristiani possono dire "Padre nostro che sei nei cieli" e gli Ebrei possono dire "Abinu shebashamaim". Diranno la stessa cosa. I Cristiani possono dire "Sia santificato il tuo nome" e gli Ebrei "ltkaddash shemeh rabba". E' la stessa cosa. I Cristiani possono dire "Venga il tuo regno" e gli Ebrei "Yamlik malkuteh". Diranno la stessa cosa.

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